Un giorno al molo

Un giorno al molo

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Loris era seduto davanti al porticciolo turistico come un vecchio cane stanco che non aspetta più nessuno.
Aveva il pennello in mano, ma lo muoveva come se stesse grattando via da dentro di sé qualcosa che non riusciva più a sopportare.
Ogni colpo sulla tela era lento, preciso, testardo. Come uno che non ci crede più, ma continua lo stesso. Per abitudine. O forse per disperazione.

Attorno, il porticciolo sembrava una vecchia puttana che non si era ancora decisa ad andare in pensione. Le barche ballavano piano, quasi ubriache, e Monte Pellegrino, laggiù, disegnava l’ultimo confine tra quello che si sogna e quello che ci tocca sopportare. Come a dire: «Fin qui puoi immaginare, dopo di qua devi solo vivere».

Loris dipingeva e intanto pensava. Ma non erano pensieri veri, erano più come quei rumori di sottofondo che senti quando non c’è più niente da dire. Ogni pennellata tirava fuori una parte di lui incollata da anni al fondo del barile della vita.
Il cappello di paglia gli faceva ombra sugli occhi, ma non sull’anima, quella era scoperta, sventrata, come una casa disabitata da troppo tempo.

Rubava.
Sì, Loris rubava.
Rubava frammenti. Passi. Gesti. Sguardi lanciati a caso. Pezzi di sconosciuti che passavano lì vicino senza nemmeno accorgersi che egli esisteva.
Loro tiravano dritto, dentro i propri casini, i propri amori mezzi rotti, i propri pensieri ammuffiti.
Ma per un attimo, uno solo, erano tutti legati da quel posto, da quella luce, da quel respiro sospeso sul molo. Un respiro che lui cercava di catturare prima che svanisse.
Come uno che cerca di salvare un sogno col fiatone.

Tutti soli, cazzo!.
Tutti a recitare vite che non ci appartengono, incastrati dentro una sceneggiatura scritta da chissà chi. 

E allora che senso ha?
Forse la pittura è solo il modo che Loris ha trovato per non impazzire. O forse per impazzire con stile.

Il molo era una metafora vivente. Barche che ondeggiano ma non partono.
Gente che arriva ma non resta.
E Loris che continua a dipingere come se fosse l’unico ancora sveglio in un mondo che dorme col culo all’aria.

Ogni pennellata era una bestemmia contro il nulla cosmico.
Un modo per dire:
«Ehi stronzi, io ci sono stato. Ho visto. Ho sentito. E voi, dove cazzo eravate mentre io mi perdevo?».

Non cercava risposte.
Cercava solo di restare a galla.

E così continuava a dipingere.
A rubare l’anima di ogni secondo che poteva.
Perché a volte tutto stà lì.
In un colpo di pennello.
In un silenzio che fa più rumore di mille parole.

@marzo2022