Qualcosa di me
Ovunque sono stato e qualsiasi cosa abbia fatto, nel lavoro, nella società, nella famiglia, nel rapporto con il mondo che mi circonda, ho sempre lasciato la mia impronta. Nel bene e nel male.
Come quella macchia su un tronco d’albero, che ho lasciato stamattina al parco, nella mia solita corsa per sfuggire forse da me stesso o per rincorrere qualcosa che ancora cerco, forse “quell’attimo di eterno” (cit.).
Quell’impronta non è arte, né natura, né incidente: è solo presenza. Un segno che non chiede di essere capito, ma che esiste, e basta.
Non ho mai cercato di essere un esempio. Ci mancherebbe, non sono stato e non sono un santo né lo sarò mai, forse, sono stato un monito. Un “così non si fa” vivente, con gli stivali sporchi e la coscienza mezza marcia. Ma chi l’ha detto che si debba sempre brillare? Io poi credo di non aver brillato più di tanto, o forse si. Non lo so. Poco importa.
Le mie impronte non sono leggere come piume: affondano, sporcano, a volte puzzano pure.
Le ho lasciate sulle facce delle persone che ho amato male, sui muri delle istituzioni che ho servito con la fedeltà stanca di chi obbedisce solo per non pensare, ma alle volte a quei “soloni” gli sbattevo in faccia la verità che non volevano sentire e allora mi minacciavano e io me ne fottevo.
Le ho impresse nelle parole dette a metà, nei silenzi che pesano più dei discorsi, nei giorni in cui mi sono alzato solo per non morire di inerzia.
Eppure, a modo mio, ho camminato. Ho riso in faccia sempre a quel “Dio che avete ucciso” (cit.) e al destino con una birra calda in mano, bevuta tra gli scalini di una chiesa abbandonata. Ho fatto a pugni con le mie illusioni e ho perduto, sempre, ma almeno ho avuto il coraggio di lottare.
Non ho lasciato tracce perfette, lo sò. Ho lasciato orme zoppicanti, a volte sanguinanti. Ma erano le mie. Non ho vissuto per piacere, né per convincere. Ho vissuto per resistere. Perchè la vita accade ogni giorno e ogni giorno è una lotta per sopravvivere. Solo gli idioti la pensano diversamente oppure si nascondono dietro un velo per non guardare, che è ancora peggio.
E adesso, osservando quella macchia su un tronco, così simile a una zampa di lupo, a un marchio, a un urlo muto, capisco che la vita non è questione di senso. È solo questione di segni. Di impronte. Di ciò che resta quando te ne vai. E se qualcuno passerà e guarderà quel segno e penserà “chi cazzo è passato di qui?”, allora forse avrò vissuto davvero.
Giugno 2025