Corro via da me

Corro via da me

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Se non corro ogni giorno, o quasi, è come svegliarsi con l’alito che sa di aglio marcio, come avere addosso l’odore di un deodorante scaduto che ti accompagna tutta la giornata, dicendoti che fai schifo.

È quella nebbia pigra che ti si appiccica addosso, e tu ci provi pure a scrollartela, ma niente. Ti segue ovunque.

Correre è l’unica microdose di orgoglio che riesco a concedermi senza sentirmi di troppo. Una roba mia, un rituale ancestrale. Mi serve, sopratutto per sopportarmi. Senza, divento lamentoso, uno che si incarta con i propri pensieri, che affoga in un bicchiere d’acqua, e poi magari, ci scrive pure sopra.

Ho la mia playlist su Spotify, sempre la stessa. Jazz e blues. Nient’altro. Perché io, mentre corro, non voglio sentirmi motivato, voglio sentirmi dannato. Voglio il sax che urla i traumi di qualcuno più incasinato di me, voglio la chitarra che grida in una stanza d’albergo con le tende chiuse e piene di fumo di sigaretta, voglio il pianista che ansima tra le dita mentre cerca un accordo che non esiste.

Miles Davis che corre con le Asics. Sì. Una jam session tra cuore, piedi e fiato corto. E ogni colpo di batteria deve essere uno schiaffo alla mediocrità della vita. Una vita che ti rincorre con le bollette, le mail non lette, i silenzi nei messaggi. Io corro per sfuggire. Sempre. Ma con stile.

E intanto fuori, la città fa finta di esistere, solitaria, taglia la strada senza guardare. Tu le corri accanto, la sfiori, ma non vi toccate mai davvero. E va bene così.

La verità? La mia corsa non è sport. È arte. Gli altri fanno cardio, misurano il battito, i chilometri, le calorie. Io no. Io faccio dissonanza. Io sono un accordo di undicesima alterato, sospeso tra un semaforo rosso e un pensiero di troppo. Non mi interessa arrivare da nessuna parte. Mi basta sapere che sto fuggendo. Che sto ancora respirando.

E forse, anche se fa male ammetterlo, è l’unico momento in cui non mi sento del tutto inutile.

Maggio 2025