Lo dico senza incertezza con quella lucidità che viene solo dopo aver guardato troppo a lungo nell’abisso.
Lo amo perché ha avuto il coraggio che pochi hanno avuto: non quello di offrire risposte, ma di scoperchiare tutte le domande possibili. Ha tolto l’uomo dalla sua “confort zone” e gli ha sbattuto iin faccia se stesso. Nudo. Contraddittorio. Inafferrabile.
Ha mostrato che non siamo mai davvero uno, ma cento, mille persone. Che viviamo continuamente mascherati, non per inganno, ma per pura necessità. Perché l’uomo, se dovesse restare senza maschere, senza finzioni, non potrebbe più vivere. Sarebbe sopraffatto dal silenzio del suo stesso volto.
Lo amo perché ha rivelato la violenza che ci abita. Non quella chiassosa ma la più sottile: la violenza dell’identità imposta, delle convenzioni sociali, dell’ipocrisia quotidiana. Ha visto che l’essere è un rebus che ci divora continuamente, e ha avuto l’onestà di non nasconderlo. In un’epoca che pretendeva di spiegare tutto, lui ha difeso il mistero. Ha mostrato che la logica, quando è assoluta, porta al disastro. Che la ragione può fallire, e che spesso fallisce.
Ma lo odio.
Lo odio perché non ha avuto pietà di nessuno.
Perché ci ha lasciati senza una via di scampo, senza un appiglio. Ci ha mostrato l’inganno, sì, ma non ci ha dato alcuna redenzione.
Neppure l’illusione della speranza.
Solo per pochi, forse per nessuno, esiste uno spiraglio. Per gli altri, il dramma eterno della ricerca continua. Una verità che non si lascia mai afferrare, che si ritrae ogni volta che crediamo di toccarla.
Eppure, anche in questo, c’è una sorta di giustizia.
Una dignità spietata.
Pirandello non ci consola, non ci accarezza, né tanto meno ci salva.
Ma ci obbliga a guardarci dentro. E forse questo è l’unico gesto di verità possibile.
Nel teatro dell’assurdo che è la vita, la sua opera non ci dà il senso, ma ci ricorda che esistere è resistere al non senso.
E in questa resistenza, forse, c’è già tutta la nostra grandezza.
Maggio 2014 – 2025