Il giorno in cui ho deciso di restare

Il giorno in cui ho deciso di restare

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Porzia, sta immobile davanti al mare di Mondello.

Il cielo è gonfio di nuvole come il petto di un’alba che si trattiene troppo a nascere. Lei parla. Non a qualcuno, ma a qualcosa.

Lo senti il rumore, mare?

Non quello delle onde. Quello che sta dentro, quando la vita ti si sgretola tra le mani come sabbia appena umida.

Io sono Porzia, ma già lo sai. Ho quarantotto anni e ho fatto a botte anche con Dio. O forse Dio sono io, solo che ho smesso di credermi.

Il mio matrimonio è durato abbastanza da lasciarmi addosso la forma di una gabbia. Lui parlava come se le parole fossero martelli. Io sorridevo come se le lacrime fossero perle.
Alla fine abbiamo deciso di lasciarci, così in silenzio, come due che si sono già detti tutto, forse anche troppo.

Un giorno mi ha detto: “Non sei più quella di una volta.” E io non gli ho risposto che neanche lui era mai stato quello che pensavo che fosse.
Che poi, la colpa non è mai tutta di uno solo. È un lavoro a quattro mani, che a poco a poco distrugge la cattedrale.

E poi c’è stato quel figlio. O meglio, non c’è mai stato. E’ stato solo un battito di cuore minuscolo, visto in una macchia scura di un’ecografia, durato quanto un sogno interrotto da un urlo nella notte.

Me lo porto dentro come un nome mai pronunciato, come una voce che ogni tanto ancora mi chiama,
e io non so da dove arriva.

Gli amori, quelli poi, sono venuti e se ne sono andati come cani randagi alla fine della notte. Alcuni mi hanno leccato le ferite. Altri me le hanno aperte. Ma uno, uno solo, è rimasto. Nascosto. Segreto. Di quelli che ti svegli la notte col cuore in gola e il nome in bocca, e poi ti addormenti stringendo il vuoto. Non ho mai potuto dirlo. Perché il mondo non perdona l’amore fuori posto.

E io non perdono il mondo. Non l’ho mai perdonato.

Mio padre…poi…mio padre era un uomo con le mani sempre chiuse. Mai una carezza. Mai un “brava”. Solo ordini, urla, e quello sguardo che ti fa sentire sempre in difetto e nuda. E io ho passato la vita a cercare uomini che mi guardassero come lui. Per fargli vedere che potevo essere amata lo stesso. E alla fine mi sono odiata, proprio come lui.

Mia madre invece…lei era un raggio di sole nella stanza più buia. Rideva con gli occhi.
Ricordo che da piccola mi toccava i capelli e sembrava che il mondo si fermasse in quell’istante. Ma se n’è andata troppo presto. Il giorno che è morta ho capito cos’è il silenzio e la solitudine vera, quella che ti scava dentro, sino alle ossa. Quello che non ti lascia nemmeno il rumore del pianto.

E ora eccomi qui, davanti a questo mare. Pensando che potrei lasciarmi andare. Un passo. Due. L’acqua sarebbe fredda, ma poi…poi niente più dolore, niente più sveglie, niente più sogni a metà. Solo il silenzio. Quello profondo. Quello che sembra pace. Lasciarmi andare nella pace. Ma poi una luce. Una stupida, maledetta lama d’alba che mi buca il petto.

E capisco.

Anche se tutto è rotto, anche se il mondo è un posto che ti morde e poi non ti chiede scusa,
qualcosa dentro, una parte piccola, testarda, ancora vuole restare. Vuole vedere come va a finire.

E allora mi accendo una sigaretta. Stringo le braccia sui fianchi e resto.

Perché forse, in fondo, la vita vale la pena solo per quei momenti in cui decidi di non mollare. Anche se nessuno lo saprà mai. Anche se non c’è nessuno a guardarti. Solo il mare.
Il mare basta.

               aprile 2025