Da anni Loris viveva come un sopravvissuto.
Il mondo gli scorreva accanto, veloce e rumoroso. Lui restava fermo, nel suo silenzio.
La moglie era morta troppo presto. I figli, ormai lontani, non avevano nessun motivo di tornare.
Le giornate erano un lavoro meccanico. Le sere, un bicchiere dopo l’altro nel bar sotto casa. L’alcol non cancellava nulla, ma almeno rendeva più morbidi i contorni.
Quella notte uscì senza una ragione precisa. Non c’era un gesto estremo da compiere, solo un vuoto che chiedeva spazio. Si ritrovò alla stazione. Salì su un treno qualsiasi. Dal finestrino, il paesaggio scivolava via come un film già visto.
Davanti a lui sedeva una donna.
Vestita di nero. Occhi fermi, senza ombra di curiosità.
Sembrava sapere chi fosse.
Loris parlò. Raccontò la morte, la solitudine, la stanchezza. Lei ascoltava in silenzio. Quando tacque, disse soltanto: «Ti aspettavo.»
Loris la riconobbe. Non era un incontro. Era un ritorno.
Si alzò.
Camminarono attraverso vagoni che sembravano non finire. Alla fine, una porta nera. Lei la aprì. Un vento caldo li investì.
Oltre c’era una luce ferma, accecante.
«Eccoci» disse.
Loris entrò.
Non sentì paura.
Era arrivato.
Alla sua destinazione finale.
@G.L. 2022