La notte era una coltre di pioggia e ombre, una delle tante che Loris aveva attraversato come un fantasma.
Uomo dal cuore sempre in frantumi, si muoveva tra le strade deserte di una città che non riconosceva più ormai da tempo. Palermo era annegata nella sua stessa acqua.
Aveva perso Tecla molti inverni fa. Tumore fulminante. Da allora, ogni notte aveva il sapore del letto vuoto e del caffè bruciato al mattino.
Il suo dolore era una presenza viva, un pitone che gli si avvolgeva al petto, soffocandolo con i denti della nostalgia e del rimorso.
Alzò gli occhi al cielo grigio, dove un tempo aveva giurato di aver visto arcobaleni. L’amore, il destino, forse anche quel Dio, le speranze: tutto gli sembrava un trucco da baro, una farsa crudele svanita nel vento come polvere.
Camminava, sfiorando gli ombrelli dei passanti frettolosi, mentre la pioggia scendeva sempre più insistente, specchio delle lacrime che non riusciva più a piangere. Le parole gli morivano in gola, avvelenate dall’amarezza.
Scorse un bar, l’ultimo rifugio in quella notte senza fine. Ne conosceva l’insegna, ma non ci entrava da anni. Varcò la soglia e si lasciò cadere sullo sgabello. Ordinò una tequila, quella che Tecla detestava. Un modo per allontanarla anche dai ricordi.
Le labbra, screpolate dal freddo e dall’alcool, si aprirono in un gemito muto. E la mente, come un nastro invecchiato, tornò indietro.
Un replay di frammenti di felicità perduta.
Il suo sguardo che la cercava nel letto, le tazze sporche lasciate sul tavolo, i silenzi condivisi nei pomeriggi piovosi.
E poi, solo macerie.
Sogni ridotti in cenere.
L’idea della morte gli si insinua nel cervello con la dolcezza di una ninna nanna noir. Il suono lontano di una sirena, forse un’ambulanza. O forse la fine.
Il vuoto eterno: finalmente la pace, la fuga da quella prigione di carne e tormento.
Ma Loris lo sapeva.
La morte era una vigliaccata. Una valvola di sfogo per chi non ha il coraggio di convivere coi propri fallimenti.
E per questo, si odiava più di ogni altra cosa al mondo.
Bevve. Un altro sorso. Un altro ancora. Cercando di annegare l’angoscia in quella tequila come fosse catrame.
Ma il suo cuore era già un vetro infranto, e nessuna luce poteva più attraversarlo.
Il destino lo aveva rinchiuso in una teca di disperazione, e lui, con voce rotta, malediceva la vita che gli aveva dato solo rovine e silenzi.
Fuori, la pioggia continuava a cadere, lavando via muri e ogni traccia del suo passaggio.
Nessuno lo notò quando si alzò e uscì.
Nessuno si accorse dell’uomo che camminava sotto la pioggia con le mani in tasca e lo sguardo altrove.
Si dissolse nel buio di un vicolo.
Ombra tra le ombre.
E il mondo, indifferente, continuò a girare.
@G.L. 2023