UNO DI QUEI GIORNI

UNO DI QUEI GIORNI

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        (una preghiera sgangherata)

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È uno di quei giorni che ti prende la malinconia e non ti molla fino a sera.
Non ho chiuso occhio. Come al solito.
Mio figlio è rientrato tardissimo. O prestissimo. Dipende da dove ti piazzi a guardare le lancette.
Così, all’alba, me ne sono uscito.
Avevo bisogno di silenzio, di colori nuovi, di profumi.

Il paese è ancora deserto. Le case, quasi tutte invecchiate, sembrano incendiate da quella luce ambrata dell’alba che sale piano. Palermo è lì, a un passo.

Cammino. Lentamente. Passo dopo passo, entro in tutte le viuzze, anche quelle nuove, ancora a metà. Mi perdo tra i giardini, li osservo, li studio, li spio: i fiori, l’erba, le panchine rotte, gli spazi per ritrovarsi. Gli alberi che raccontano.

Raccontano chi li vive, chi ci cresce e chi ci sogna.

Una sola persona incontro: una vecchia signora che spazza l’uscio di casa.

La saluto, le parlo.

Non lo faccio quasi mai.

Neanche mi riconosco.

Passo dalla piazza centrale. Troppo moderna per quella chiesetta di fine 400’ che l’abbraccia.

La fede, la mia, è un colabrodo. Però entro. 

provo anche con questo Dio, non si sa mai.

E’ vuota.

E io che non sono credente, non ci vado mai.

Il prete mi riconosce. E ha sempre avuto l’accortezza di lasciarmi in pace.

Entro.

Guardo le vetrate, i dipinti, la statua della Madonna.

Alla fine non resisto.

Mi siedo. Provo a pregare… ma cosa?

Una preghiera stropicciata, timida, quasi stizzita: “per favore… che vada tutto bene ai miei figli. E se avanza qualcosa… pure per me. Altrimenti non fa niente. Ma non è vero che non fa niente…”

Già. Pretendere il miracolo senza crederci… 

E niente, in giornate così non c’è niente di più triste che ricordare la felicità. Sapendo che non torna.

Che è inutile ripetere: chissà?

Domani è un’altro giorno, si vedrà…

Ma quale felicità? Quando è che sono stato veramente felice, io?

Forse quasi sempre e non me ne sono accorto.

Forse mai.

Rivedo la mia vita come un bilancio storto, mai quadrato. Posso dire di aver fatto ogni cosa a modo mio.

Ma i risultati…chi lo sa.

Esperienze? Delusioni? Non mi hanno insegnato nulla.

Ogni volta ho detto: “ basta. Stavolta basta.”

Poi perdevo ancora.

E ricominciavo con quella frase da ebete: “ domani è un’altro giorno, si vedrà.”

E tu…

Tu non lo sai com’è uno di quei giorni.

Beato te.

Io ho dato tutto, sempre. Dare, dare, dare… e non ho salvato niente.

Neanche te.

Ma nonostante tutto, continuo a credere che potresti tornare.

Che potresti suonare il citofono.

Come tanto tempo fa.

E allora, lo ripeto: “ Chi lo sa? Già… Ma tu, chi? Domani è un’altro giorno, si vedrà.”

Oggi non m’importa della stagione morta.

Rimpianti non ne ho più.

E, come tanto tempo fa, lo ripeto ancora una volta: “ Domani è un’altro giorno. Si vedrà.”


@G.L. Febbraio 2010 -25