Le cicatrici del blues

Le cicatrici del blues

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Mai mi sono accontentato di sapere, io voglio sentire, bruciare la notte le pagine strappate il giorno prima, leccare le ferite finché la lingua non sa di ruggine e sale.

La verità?
È una corda spezzata che trema nelle vene prima che nella testa. Forse è solo follia, ma io ho cercato sempre il midollo, anche se sa di fegato ormai andato. 

Io non parlo ai morti. A chi ha il cuore già nella tomba.
A chi cammina con gli occhi spenti.
A chi ha paura di guardare dal lato sbagliato.
Parlo a chi ha bevuto con la morte, a chi ha respirato polvere e risate isteriche, a chi ha amato amori folli, a chi ascolta un blues col sangue che cola
sulle tovaglie sporche di vita ad aspettare. Cosa? non lo sò.

Ho sempre pensato che vita e morte sono le facce della stessa medaglia, sono uguali, stanno tutte e due dietro un angolo ad attendere.

Io scrivo e suono per farmi male, a pezzi  e poi, magari rinascere, perché ogni parola è un coltello, un accordo distorto in una chiesa abbandonata alla periferia di una città qualunque, in un tempo indefinito.

E quando il mio cuore esploderà, avrà il suono del blues, un amen fatto di fumo e sigarette. E nulla più.

E in culo al mondo.

 @luglio2025