Una donna, una stagione

Una donna, una stagione

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Non serviva mostrarsi per farsi sentire. La sua risata: un ruggito. Un elegante rifugio dalla brutalità del mondo.

Quella mano sul viso…, pudore? Ironia? O forse un pensiero improvviso che le aveva scardinato la corazza.

Tecla era come una poesia scalza sul pavimento freddo dell’anima.

Loris la incontrò d’estate, come si incontrano le cose che ti cambiano la pelle.
 Era sola, sulla battigia affollata di Mondello. Seduta su un telo azzurro, ginocchia strette all’altezza  petto. Costume intero, nero, sobrio. Nulla per farsi notare, eppure si notava.

Fissava il mare come se dentro ci fosse un segreto troppo grande.

Ogni tanto guardava svogliata i ragazzi che ridevano dietro le oche giulive,
 le balene spiaggiate in attesa dell’ultimo treno.

Ma, in fondo, non gliene fregava un cazzo.

Loris, da idiota, si avvicinò con la sua solita faccia da gallo:

“Hai da accendere?”

Cliché da film mediocre come i panettoni di Natale.

Lei non sorrise, non lo guardò. Prese l’accendino, glielo portò alla sigaretta.
 Lui rimase immobile.

Non per timidezza. Per quegli occhi.  Per quello sguardo che non chiedeva, ma diceva tutto. Era una dichiarazione di esistenza.

Parlarono. Cose leggere.

 “Sei di Palermo?”

 “Che lavoro fai?”

 Le parole galleggiavano tra le onde. Poi lei si alzò e andò via.
 Senza motivo. Senza un ciao.

Loris restò lì, bruciato dal sole e da qualcosa che non sapeva nominare.

Il giorno dopo, tornò. Si sedette accanto. Nessun saluto.

“Non sei abbronzato. Sei arrostito.”

Risero. Tanto.

Fu l’inizio di qualcosa senza nome. Nessuna promessa. Niente futuro.

Dopo pochi giorni si ritrovarono nel letto di lei. Naturale, come bere un bicchiere d’acqua.

Casa piccola. Viveva da sola.  Libri ovunque. Camus aperto per terra. Sartre in cucina, quasi dimenticato. Baudelaire scarabocchiato. Bukwoski sporco di sugo e quell’odore di pesca nelle lenzuola.

 A letto si mangiavano. Ma con grazia.

 Lei aveva un garbo feroce. Gli prese tutto, senza mai chiedere nulla. E Loris si lasciò portare via. Come un regalo avvolto male.

A volte rimanevano lì, immobili. Senza toccarsi, senza sfiorarsi.

Respiri, silenzi.

Loris pensava “come glielo dico che l’amo?”.

Non glielo disse mai. Temeva di rovinare tutto. Restò con lei diverse notti. O forse fu solo una interminabile notte. Ma l’odore di pesca gli restò addosso per giorni.

Non lo sentiva con il naso. Con la pelle.

Lei non pretendeva. Non lo legava. E forse per questo, Loris cominciò a volerla tutta.

Tecla era più grande di età.

E lui si sentiva piccolo. Nudo.

Poi sparì.

Così.

Senza scena. Solo silenzio.

Non l’ha più rivista. Ma ogni tanto, un odore di pesca, o una donna che sorride al mare, e lei ritornava.

Tecla non era solo una donna. Era una stagione.

Una breve, intensa, bastarda stagione.

E Loris…

Gli ha lasciato un pezzo di cuore.

giugno 2025