Questi sono i momenti in cui parlo con me stesso.
Quando le dita scorrono sui tasti,
non suono melodia ma improvviso note per riempire silenzi.
Ogni nota è un ricordo che non ho il coraggio di dire ad alta voce,
ogni accordo è una cicatrice che ride,
ogni pausa è un respiro trattenuto per non crollare.
Qui non c’è pubblico, solo io che mi confesso, a metà tra il peccatore
e un prete scomodo.
È il mio modo per non impazzire.
O forse è proprio il mio modo di impazzire meglio.
giugno 2025