(Appunti di un mezzo pianista alla fine del mondo)
Mille strali e il treno va veloce.
Un treno impazzito.
Dal finestrino sfilano alberi muti, fantasmi del passato. Ragazzi improbabili, risate e poi, d’un tratto, le lacrime, lì, infilate nei soliti paesaggi.
Le siepi, i confini che non tengono più niente. Una chiesa. Il silenzio che litiga con ogni respiro.
Ed io, inquieto, costretto ad amare ogni cosa che vedo.
Ma non ci riesco.
O forse sì, ma a modo mio. In un modo sbagliato.
Sopravvivo.
Annego nei pensieri, in una scala cromatica storta, mi sembra di sentire un jazz improbabile anche un po’ bastardo, quello che ti graffia lo stomaco. Mi riporta ai miei anni da inquieto adolescente, quando la notte aveva le trapunte come mosche morte, e le urla degli altri erano solo indifferenza.
Il treno corre.
Scorrono i tulipani, s’infrangono come vetro nella pelle non li tocco, non posso,
sono già altrove, già ieri, già visti. Come le facce. Come i pensieri. Come certi quadri rotti, rovinati da una guerra che nessuno ha mai voluto.
l treno accelera, e io mi frantumo.
I sogni?
Sabbia tra le dita, bastava poco: un giorno decente, due braccia fragili che mi stringessero forte ancora una volta, una scintilla vera tra tutte queste fiamme finte.
Guardo i tetti e penso: li sopra chi ci abita? Gli incubi o la bellezza che non capisce nessuno?
Bagliori, lampi, mattini mescolati male.
Io sempre al finestrino, aspettando un’emozione. Una vera. Una che non abbia paura di sputarmi in faccia la vita.
La steppa scappa via.
Corre via.
E non so dove cazzo vada a ripararsi.
Marzo 2022-25