TECLA NON E’ PIU’ QUI.
monologo teatrale di Giuseppe Lonatro
2025
PERSONAGGIO: TECLA C.(donna sui cinquant’anni, molto bella e sensuale, un matrimonio finito dopo appena due anni. Un aborto all’ottavo mese di gravidanza. La sua vita è costellata da drammi e incontri fugaci con altri uomini.)
PERSONAGGIO: LORIS L.(non si vede ne si sente la voce ma s’intuisce che è il compagno di Tecla da alcuni anni, più giovane di circa trent’anni. Non si sa nulla di lui.)
[Palco vuoto. Al centro un letto disfatto. Tecla è seduta sul bordo, piedi nudi appoggiate tra la rete e il materasso, le ginocchia rannicchiate all’altezza del mento. Indossa una vestaglia bianca e trasparente, aperta, sotto il corpo nudo. Una sigaretta spenta tra le dita e l’iPhone tenuto nell’orecchio dalla mano sinistra. Il viso è lucido, il rimmel degli occhi comincia a sciogliersi.]
TECLA: (con voce rotta)
…non mi ami più?!
Quindi non mi ami più?
Perchè?
(Silenzio, respiro trattenuto, poi un singhiozzo le spezza il fiato e la voce comincia a tremare, come quella di un bambino pronto a piangere)
Ma che cazzo.
(pausa, ride, si asciuga gli occhi con il palmo della
mano.
Loris, non dirmi queste cose. Dimmi che stai scherzando, lo so quanto ti piace giocare. Ti piace quando imploro…
(si guarda attorno, poi torna a fissare un punto nel vuoto)
…e pensare che ti ho anche lasciato dormire dal lato buono del letto. Quello dove si sente meno il rumore del cesso dell’inquilino di sopra. Ti ricordi? Il caffè sempre pronto, tiepido, lo so lo so…non hai mai sopportato il caffè bollente.
(abbassa lo sguardo. Silenzio. Poi si accorge che il telefono è muto, non sente più la voce ma non realizza. Continua a parlare come se l’uomo fosse ancora dall’altro capo ad ascoltarla, ma Loris ha interrotto la conversazione)
Sai che ti dico? Che lo sapevo, lo sentivo. Vaffanculo Loris! Lo sapevo sin dal primo istante in cui mi hai guardata, con quella faccia da maschio greco e l’aria da bambino cresciuto con troppa mamma e poco padre.
Ci siamo incontrati per la prima volta per strada. Era d’estate, ti ricordi? Quel giorno faceva un caldo della madonna e io come al solito avevo le scarpe con tacco alto e ricordo…si ricordo che avevo anche una minigonna di colore bianco, e tu mi hai guardata come se, in quel momento fossi l’unica donna sulla terra.
Mi sono sentita ammirata, osservata come una dea. E io? Io ho risposto al tuo sguardo e ho accennato ad un sorriso. Non ho resistito, come potevo fare diversamente…che stronza! Che idiota. Mi sono detta: “ dai Tecla buttati, si è più giovane di te…ma che cazzo, che male può farti uno con quello sguardo?”
(mette via il telefono, lo poggia sul letto, come se avesse appena chiuso una ferita. Ma continua a parlare nel vuoto, convinta che |Loris la stesse ascoltando)
E invece alla fine, tu sei stato il peggiore di tutti. Sei stato quello che mi ha fatto credere che si può essere amate anche con i fianchi abbastanza morbidi e le rughe ai lati della bocca. Che si può essere amate anche a cinquant’anni e un matrimonio alle spalle finito male.
Mi dicevi: “ sei bella anche quando sei stronza”. E io lo ero cazzo! Lo sono sempre stata. Si lo so..lo so, ti ho tradito, ma mai con il cuore, quello è sempre stato tuo. Lo sapevi sin dall’inizio, quando abbiamo iniziato questa storia, te l’avevo detto che in me c’era una parte che non riuscivo a controllare…lo sapevi! Dentro di me è come se esistessero due entità: quella che cerca disperatamente amore e dare amore e l’altra che, spesso prevarica la prima, che cerca solo il piacere di un attimo.
A quei quattro scappati con sono stata a letto, ho dato solo il mio corpo. E non è la stessa cosa Loris. Non lo è.
(Tecla si alza dal letto. La vestaglia si impiglia tra il lenzuolo e la rete e scivola via, sino a lasciarla completamente nuda. Cammina lentamente intorno al letto, come se stesse osservando se stessa ancora distesa in quel letto. Passa una mano sulle lenzuola stropicciate. Inspira profondamente)
(con un sorriso amaro) Quante…cazzo, quante volte abbiamo fatto l’amore in questo letto? Eh? Ti ricordi? T’ho fatto da madre, da amante, da compagna, da puttana, da sacrestana per ogni tuo desiderio.
A te piaceva così. Sentire il mio odore. Di noi. Di quello che eravamo.
Di quello che avevamo fatto giorni prima, sempre chiusi qui dentro.
Solo sesso e tristezza…
Sudore e sogni e anche un po’ di disperazione, quella che non si lava via nemmeno se ci metti tutto l’impegno di una vita.
(Tecla prende il lenzuolo, lo stringe al viso, poi lo getta via bruscamente)
Sai che ho sempre cercato qualcuno che mi amasse per davvero? Io volevo solo amore e dare amore e basta! Non tanto per una scopata a e via o per i discorsi da intellettuale mezza alcolizzata fatti alle tre del mattino. Volevo uno che mi guardasse in faccia…e che non avesse paura di me.
E invece? Mi hanno sempre usata, usato questa faccia.
Usato questo corpo per farne qualsiasi cosa.
Nessuno che abbia voluto abitarla davvero.
(mette una mano sul ventre. Si ferma. Gli occhi si fanno fissi. Quasi di vetro)
… L’avevo quasi dimenticato. Otto mesi. Mi hanno detto che era un maschio.
Non me l’hanno fatto vedere.
Mi hanno sempre detto che era meglio così. Che non valeva la pena portare avanti la gravidanza. Il bambino sarebbe nato con una grave malformazione al cuore e non sarebbe sopravvissuto.
Poi è arrivato lui…il padre.
Con la sua bella cravatta da traghettatore d’anime.
“Tecla ho fatto tutto io tranquilla”, mi disse.
Cassa bianca.
Tre rose bianche.
Un loculo che non ho mai visitato. Un cimitero che non so. Mi fidavo di lui.
mormorando, quasi a se stessa) nemmeno un nome.
Nemmeno un nome, un posto su cui piangere.
Solo silenzio e una cicatrice che ogni tanto brucia quando cambia il tempo.
Sai, Loris, che il mio primo amore…era un barista? Ricordo che mi faceva un cappuccino con la cioccolata a forma di cuore…che tenero..
Poi un giorno, così spudoratamente, mi chiese se poteva scoparmi nel retro del locale.
Io ho detto di si,senza pensarci.
Perchè a volte il cuore…pensi di trovarlo proprio in mezzo al marciume di un bar.
(Ride amaramente. Cammina ancora, si accende una sigaretta tremando)
E io?
Io sono sempre stata viva nonostante tutto. anche quando mi sono lasciata morire un po’ alla volta. Quando mio padre quella volta cercò di abusare di me. Io e mia madre scappammo via.Lei lo sapeva…
Anche quando mi lasciavo toccare da mani sbagliate, solo per sentirmi reale, viva.
Anche quando mi svegliavo accanto a sconosciuti, col trucco sbavato e il fiato come un cesso di una stazione di servizio in autostrada.
Eppure resistevo.
Con te, Loris… pensavo fosse diverso.
Pensavo di aver trovato un miracolo.
Invece eri solo un altro. Un altro che aveva bisogno di sentirmi addosso per sentirmi vivo.
(Pausa. Guarda verso l’alto, verso un punto lontano e indefinito)
Non lo so, forse io sono nata per farmi lasciare.
Per essere una parentesi tra una ragazza giovane e una moglie in carriera e bella.
Una via di mezzo. Una deviazione.
Una sbandata sulla strada di qualcun altro.
(Si siede sul bordo del letto, sfinita. Le mani tremano. Getta la sigaretta nel bicchiere d’acqua. Poi nota qualcosa per terra, accanto al comodino. Una busta. La prende perplessa. Luci basse, solo un faro taglia la scena. Tecla guarda la busta. Non la apre subito. La tocca come se fosse incandescente)
(con voce roca. Sottile, poi via via si increspa)C’è un tempo strano prima che le cose accadono.
Come una pausa che nessuno ha chiesto.
Guardo questa busta…
Chiusa, sigillata.
L’ho aperta?
Si.
no.
Cazzo…si.
L’ho aperta.
con respiro corto) Nome del paziente Loris D.
Analisi del DNA.
Incompatibilità genetica tra madre e figlio: assente.
Presenza di compatibilità: elevata.
Possibile legame: madre biologica.
ride, un riso secco, quasi sputa) Madre biologica.
Cosa vuol dire?
Cosa… vuol dire?
Io… io…
Io non ho mai partorito Loris.
Io non ho mai avuto un figlio che si chiamasse così.Io ho perso un figlio!
Io non ho…
No.
Aspetta.
Aspetta.
Aspetta un attimo.
Fammi pensare.
Fammi… ricordare.
(Silenzio. Poi bisbiglia, come se avesse paura di se stessa)
Ma allora… ero io.
Ero io quella che ha chiesto questi esami.
L’ho fatto io!
Cristo.
L’ho fatto io.
Con una scusa…ora ricordo.
Gli ho detto che servivano per una donazione… una cazzata qualunque.
Lui non ha sospettato nulla.
Bravo, il mio Loris. Sempre così fiducioso. Così’ …
Mio.
(Ride amaramente, poi si ferma di colpo.)
Perchè l’ho fatto?
Perchè… sentivo qualcosa.
Come un odore di casa in quell’uomo.
Un sapore che sapeva di familiare nella sua pelle.
La prima volta che mi ha toccata ho sentito…
Un nodo, porca puttana troia.
Come se il mio corpo dicesse si, ma il mio sangue urlasse NO.
Ma non lo capivo.
(Urla quasi)
E io?
Io che ho fatto?
Ho aperto la busta.
Ho letto.
E poi?
Poi ho dimenticato.
Cancellato, rifiutato dalla memoria.
Ho preso la verità e l’ho sepolta viva.
Nel cemento.
Con le scopate svogliate e i film Coreani la domenica pomeriggio.
(Silenzio)
Mi sono lasciata da sola.
Ho trovato una scusa.
Una lite.
Un niente.
Una fuga.
Una porta sbattuta.
Così.
Perchè era troppo vicino.
Troppo…. vicino.
Troppo… mio.
(Pausa lunga. Tecla guarda il pubblico, senza vederli. Una confidenza disperata.)
E ora sono qui.
Con questa busta tra le dita.
E mi dico: “ Che strana sensazione di già visto.”
Ma non è un dejà-vu.
E’ memoria.
E’ me che torno.
E’me che mi ricordo.
Che sono una madre.
Che ho fatto l’amore con mio figlio.
E che adesso…
Non posso neanche più odiarmi.
(Tecla adesso si gira su se stessa dando le spalle al pubblico.
Inizia a camminare come una bestia in gabbia. Tiene ancora la busta
tra le mani. Le pesa. La odia.)
Non c’è più niente da fare.
O forse si.
C’è sempre qualcosa da fare.
Si può morire, ad esempio.
Facile.
Una corda, una finestra, un coltello.
L’ho pensato sai?
Subito dopo aver ricordato.
Ho pensato: “Tecla. Lascia il palcoscenico in silenzio, con eleganza, con stile.”
Ma poi ho pensato: “Perchè devo essere io a morire?”
Perchè io e non lui?
(Pausa. Sottile. Uno spiraglio di follia entra nella voce.)
Ma se io lo uccidessi?
Si.
Se lo uccidessi davvero.
Se lo cancellassi dal mondo.
Se cancellassi la prova.
Sparirebbe tutto no?!
L’incesto, l’amore, il peccato.
Una madre che uccide il figlio è una tragedia, certo.
Ma è anche giustizia.
La pulizia della vergogna.
Lui non è innocente.
Mi ha desiderata.
Ha messo le mani sul mio corpo… sulle labbra.
Mi ha detto: “sono a casa”.
E aveva ragione.
Era a casa.
Io ero a casa.
La sua prima casa.
La sua tomba ambulante.
(Si avvicina al pubblico, quasi in confidenza, sussurrando)
Non ridete voi.
Non mi guardate con quegli occhi.
Io non sono pazza.
Sono lucida, lucidissima.
So cos’ ho fatto.
So cosa posso fare ancora.
(ora grida, vomita le parole)
E se invece vivessi?
Se restassi?
Se decidessi che questo amore, per quanto osceno, è l’unico che ho?
Chi mi potrebbe giudicare?
Chi potrebbe dire: “No, questo è troppo”?
Chi lo dice Dio? Il vostro Dio?!
Lo dite voi?
Ma io… io…
Io l’ho amato davvero.
Come uomo.
Come figlio.
Con la stessa lingua.
Con lo stesso ventre.
(Pausa lunga. Poi la voce di Tecla si abbassa. Come se parlasse da sola, allo specchio)
Forse siamo nati tutti per sbagliare.
Per amare storto.
Per partorire mostri.
Per diventarlo.
E io…
Io sono già morta.
Manca solo il gesto.
(Scuote la testa in un attimo di lucidità tragica)
O forse no.
Forse domani mi sveglierò, preparerò il caffè come al solito, butterò la spazzatura e farò finta di niente.
Come fanno tutti…
(Sorride. E’ un sorriso marcio. Stanco. Inumano)
Buonanotte, Loris.
Ovunque tu sia.
Dentro di me…
O sotto di me.
Io non sono più qui.
(Si spengono le luci. Silenzio. Il sipario si chiude)