2001: Odissea nello spazio

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Stanley Kubrick (1968) recensione

Non è un film, ma il film per antonomasia. Certo, può non piacere: è lungo, a tratti pesante, difficile da afferrare. Eppure è un’opera talmente monumentale che, ancora oggi, sembra più che attuale anzi, eterna.

La prima cosa che mi viene in mente è HAL 9000. Ricordate quella voce? Quella calma inquietante, quella sottile cattiveria? È disturbante, affascinante, quasi umana nel momento della sua “morte”. HAL è forse il personaggio più vivo del film, ed è una macchina.

“L’alba dell’uomo”, le ossa che volano nel cielo, il balletto delle astronavi sulle note di Strauss, i silenzi cosmici, i dialoghi rarefatti: tutto in questo film è fortemente visivo. Kubrick riduce le parole al minimo e lascia parlare le immagini. Non racconta, mostra. Non spiega, suggerisce.

È un film profondamente filosofico: dentro c’è tutto, la vita, la morte, l’evoluzione dell’uomo e della macchina, il mistero dell’ignoto. E, soprattutto, c’è l’idea dell’“Oltreuomo” di Nietzsche, evidente nella parte finale. Su quel finale enigmatico sono state scritte intere tesi di laurea. Kubrick non ha mai dato spiegazioni: lascia allo spettatore la libertà o una libera interpretazione.

Certo, è un’opera che richiede molta attenzione, pazienza, una certa competenza. Non è per tutti, e va bene così. Ma è un film che va preservato (anche se, in fondo, lo fa da solo) e studiato da chi ama davvero il grande cinema.