Io c’ero.
Volante 9.
La radio dell’Alfa 33 gracchiava: “Quarto Savona 15, rispondete.” Ripeteva. Una, due, dieci volte.
Niente. Silenzio.
Solo quel fischio nell’orecchio, come quando sai che qualcosa è andato a puttane per sempre. Dopo, Ciccio dalla Sala Operativa: “Tutte le unità, dirigersi in autostrada, direzione Trapani, segnalano un’esplosione all’altezza della Cementeria Siciliana.”
Partimmo e l’inferno non era sotto terra. Era lì. Fumo denso come cemento nei polmoni, la terra sventrata, l’asfalto sbriciolato come pane vecchio di un secolo. Fiamme. Sirene impazzite. Urla che non sembravano nemmeno umane. C’era chi bestemmiava, chi piangeva, chi cercava brandelli di vita tra le lamiere contorte, chi fotografava con gli occhi e sapeva che quel fotogramma non se lo sarebbe più scrollato di dosso per tutta la vita. Un collega urlava: “È vivo! È vivo!” Qualcuno correva. Io sentivo le gambe come se fossero di pietra. Scarpe. Fango, sangue ovunque, corpi spezzati come bambole rotte. E poi quella voce, una donna, una di quelle urla che ti strappano l’anima.
Quel giorno ho visto morire Dio, sempre se ci fosse stato un Dio. Quel giorno ho capito che la morte non è un atto finale, un odore che ti si attacca addosso
Io ero lì.
E non ho mai lasciato quel posto.
G.L. 22 maggio 2025