C’è stato un tempo in cui sapevi dove ti trovavi ieri.
Ti affacciavi sull’abisso e il lupo, quello vero, si sedeva accanto a te. Non c’era paura, era solo compagnia.
Parlavi, straparlavi, come se le parole potessero arrivare da qualche parte. Ma erano solo bottiglie lanciate nell’oceano e il mare non ascoltava. Le bottiglie non tornavano indietro.
Tu correvi, lui ti seguiva. Sempre.
C’è stato un tempo di coltellate alla schiena, di cervelli svuotati dalla troppa televisione, di gente che rideva dalle finestre solo per farsi vedere che era viva. Tutti a parlare, nessuno che diceva niente, perché non aveva nulla da dire.
Tutti seduti a cene dove le sedie restavano vuote. Profeti da discount, burattini con la cravatta di traverso. E qualche idiota che pensava ancora di potersi emozionare.
C’è stato un tempo delle copertine lucide, platinate, dalle firme false, dei figli lasciati a marcire tra pannoloni puzzolenti e le tante assenze. Faceva caldo, ma dentro era tutto freddo. Pensieri buttati sotto il letto come mutande sporche e un sonno mai arrivato.
Ricordo i morti che giocavano con gli insetti e ridevano di gioia e le madri che non riconoscevano più i figli o forse non volevano.
Poi c’era il tavolo, le briciole di pane sparso, la meraviglia che s’infilava tra le dita come una puttana dolce e felice. Era tutto e niente ma era abbastanza.
Ora sei tornato. Un tramonto fuori orario. Le pecore vanno dritte per la loro strada. I chiodi reggono solo poster di città che nessuno vuole più vedere.
Adesso nessuno guarda più i quadri, perché nessuno ha più tempo per stare fermo.
G.L. 18 Maggio 2015 – 2025