Tecla sapeva che erano gli ultimi istanti.
Una mano tremante cercava inutilmente di fermare il sangue che sgorgava dal collo, mentre l’altra stringeva il quadro che Loris le aveva regalato qualche mese prima: l’impronta della sua mano sinistra infissa nel vetro. Era tutto ciò che le rimaneva di lui, di quell’uomo che aveva amato in silenzio, senza mai ricevere altro che un’affettuosa distanza in risposta.
La stanza intorno a lei sembrava immobile, sospesa in un tempo morto. Nemmeno il gatto, apatico come sempre, sembrava rendersi conto di cosa stesse accadendo. Continuava a vagare per la casa con indifferenza tipica dei gatti. Le grida che avevano preceduto l’attacco risuonavano ancora tra le pareti, come echi lontani. Marco, l’uomo con cui viveva da anni, aveva ceduto ancora una volta alla sua furia. Il loro rapporto era ormai logoro, e da mesi la violenza dell’uomo cresceva, come un temporale che si accumula all’orizzonte, in attesa di esplodere la sua pazzia.
Stasera, un semplice gesto, una parola di troppo, aveva scatenato la tempesta. Non c’era stato alcun preavviso, solo un lampo negli occhi di Marco, seguito dalla lama fredda che le aveva tagliato la gola.
Tecla viveva da tempo in una sorta di prigione invisibile, intrappolata in una routine che la logorava lentamente. Con Marco aveva cercato in qualche modo di costruirsi una vita, dopo tanti fallimenti.
Il rapporto con Loris era nato quasi per caso. All’inzio Loris era solo un vicino, una presenza discreta nell’appartamento di fronte nello stesso pianerottolo. Le loro conversazioni erano iniziate per caso, un saluto mattutino e poco altro. Poi, senza che ne fosse consapevole, Tecla aveva iniziato a confidarsi con lui. Loris sapeva ascoltare come nessuno aveva mai fatto con lei. Un amico silenzioso, ma allo stesso tempo un rifugio sia per Tecla che per Marco, che vi riversavano tutte le loro ansie e le paure. Loris sapeva ascoltare e riusciva in qualche modo a trovare la strada giusta per ognuno di loro. Dal suo terrazzo vedeva e sentiva tutto: le liti, i momenti di calma, gli sguardi di Tecla che chiedevano aiuto, o forse solo una conferma della sua esistenza. Lei aveva imparato quasi senza accorgersene ad amarlo, cercando in mille modi di farglielo capire: con parole velate, gesti mai completi, piccole scuse per entrare in casa sua quando era da sola. Un giorno era scappato il gatto, un altro aveva perso le chiavi di casa. E poi c’era stata quella notte, quando Loris se la ritrovò nuda nel suo letto. Ma Loris, uomo schivo e di poche parole, con lo sguardo sempre rivolto altrove, non aveva mai ricambiato quel sentimento. Le offriva un’amicizia forse ambigua, vicina eppure distante. Qualcosa di più di un semplice amico, ma niente di più. Il quadro con l’impronta della sua mano era stato un gesto simbolico, una traccia del loro legame che Tecla custodiva come un segreto prezioso. Marco non ci aveva mai dato peso, così come non dava più peso alla vita della sua compagna, né alla propria.
Il quadro con l’impronta della mano di Loris era stato il culmine di quel mai detto, un simbolo muto del loro legame mai nato. Quando lui glielo aveva regalato, Tecla aveva sperato che fosse un segnale, una porta che finalmente si apriva. Ma col tempo, aveva capito che era solo un gesto, una testimonianza della loro amicizia, di quella “cosa” che rimaneva sospesa tra loro, indefinita, eppure sempre presente. Ogni volta che lo guardava, Tecla si chiedeva se lui avesse mai pensato a ciò che avrebbe potuto essere tra loro, o se fosse stato davvero così distante da non cogliere mai il suo stato ma Lisa continuava ad amare Loris, nonostante tutto.
Il sangue scivolava tra le dita di Tecla mentre si accasciava lentamente sul pavimento, cercando di poggiare la mano insanguinata sull’impronta nel vetro. La sua mente vagava tra i ricordi, come se cercasse una via d’uscita che non sarebbe mai arrivata. Nelle orecchie risuonava l’eco della voce di Loris, parole di conforto sussurrate durante notti passate al balcone, mentre Marco dormiva o vagava per i bar a ubriacarsi. Ma quelle parole ora non bastavano più. Si dissolvevano nell’aria, leggere come fumo.
Marco era fuggito subito dopo, come se un istinto primordiale lo avesse guidato fuori dall’appartamento, lasciando dietro di sé solo il caos e il silenzio. Le sirene si facevano sentire in lontananza, ma Tecla sapeva che non sarebbero arrivate in tempo. Loris, dall’altra parte dell’appartamento, forse stava guardando, forse era già corso via o stava scavalcando il muro del terrazzo per darle aiuto… Eppure, per qualche strano motivo, Tecla non sperava più. Non era più il momento di sperare. Il mondo si stava ritirando lentamente dalla sua vita, come una marea che si allontana dalla riva, portando con sé ogni cosa, lasciando solo il vuoto.
L’ultima immagine che vide fu l’impronta di quella mano, fissata nel vetro, simbolo di un amore mai dichiarato, di un desiderio che aveva cercato di colmare la solitudine, ma che ora si stava dissolvendo insieme a lei.
Poi il buio.
Ottobre 2024