Sono inchiodato a una notte vuota, una specie di frigorifero rotto che puzza di sudore e di sogni andati a male. Il mio corpo è diventato una stanza d’albergo chiuso da tempo. “Questo è il blues che sto suonando”, dice la radio rotta nella testa.
Ci sono panchine fredde e bocche rosse che non si baciano, solo parlano, troppo. E poi quel silenzio bastardo che ti guarda fisso e non abbassa mai lo sguardo.
Questo è il mio blues.
Le luci delle stanze si spengono, e restano i letti sfatti come scene di un crimine. Lì c’erano sogni, ora ci sono solo coperte sporche e farfalle morte.
Il sole mi fa schifo. Preferisco camminare nell’ombra, nella pioggia, tra i resti di tutto.
E quel rosso improvviso, nei dettagli, nei graffi, nelle note stonate che sputano sui tasti bianchi e neri. Questo è il blues che sto suonando.
Stavolta non scappo.
Sempre questo cielo che mi volta le spalle. E il sangue che ancora bussa, incazzato, dentro le vene.
Frugo tra le note come farebbe un barbone tra i cassonetti. Questo è il mio blues.
La memoria è un cane randagio che morde.
Gratta dentro il petto, tra il vento e lo stomaco.
Tutto affoga in questo oro marcio del silenzio.
Questo è il blues che sto suonando.
18.04.2024