Sto imparando, lentamente e da solo, a risalire i giorni, spoglio di illusioni, mentre le mani appassiscono sotto la pioggia.
C’è il piacere di piacersi, ed è un’eco; poi c’è il piacere del silenzio; il mio rifugio. Ogni tanto, mordo i sassolini bagnati di pioggia e sento la lingua farsi ferita. Gli arcobaleni sono spariti; le albe non hanno più il sole. Rimane l’acqua, che resiste, cristallina e scorre dentro di me.
Sto imparando da quando mi sento un falco smarrito, fuori stagione. Cerco la mia casa tra l’abbandono e l’oltranza, tra l’offesa e la cura. Rimango, e il solo restare è già un miracolo. Poi arriva il mare, con il suo banco di sabbia – il destino, direbbero – e mi conduce per vie brevi. Ma la coscienza, per quanto spezzata, rimane inossidabile. A volte pesa come un obbligo, a volte mi salva.
Sto imparando, con la schiena dritta, ad ultimare il mio viaggio da solo. A dare valore alla vita e a ignorare le promesse mai fatte. C’è un fuoco, il fuoco consapevole di un’estate che non verrà mai. Ho imparato a voltarmi indietro per gli altri, a condividere le solitudini che attraversano il mondo come venti senza meta. Ho visto cibo che non alimenta, temporali che colgono d’agosto e cani che rincorrono le nuvole al mattino che lasciano il cielo vuoto.
Sto imparando, senza fretta. Da me stesso.
2024