IL PRIVILEGIO DEL MIO TEMPO (dialogo con me stesso)

IL PRIVILEGIO DEL MIO TEMPO (dialogo con me stesso)

Sai, nascere all’inizio degli anni ’60?

Quello sì che era un privilegio, ma non te ne accorgi subito. Te ne rendi conto quando inizi a vedere il mondo per quello che è diventato, quando guardi indietro e ti accorgi che siamo passati da una cosa che valeva la pena di vivere a questa cazzata di vita in cui viviamo oggi.

Noi siamo cresciuti in mezzo ad una società che cambiava davvero. Non quelle merdate di App che si aggiornano ogni settimana, no. Parlo di quella roba che ti scuoteva dentro. La cultura, che faceva casino e ti dava qualcosa da pensare. La musica, che ti sfondava i timpani e ti diceva che dovevi ascoltarla, non semplicemente sentirla. Libri che ti rompevano la testa. Pensare? Era la cosa più naturale da fare, l’unica cosa che contava davvero.

Perché allora la cultura non era per pochi, non era una bolla come oggi. Era nelle strade, nelle piazze, nei bar, nelle case, anche nelle puttane senza bidè di vicolo Marotta. Era dappertutto e c’era rispetto. Rispetto per l’arte, per la conoscenza, per chi aveva qualcosa da dire. Non perché si sentivano fighi, ma perché avevano fame, una fame che ti bruciava dentro. Ti bruciava le ossa.

Noi, volevamo capire. Volevamo cambiare le cose. Noi volevamo essere, non fare come quelle merdine di oggi che si guardano continuamente allo specchio.

E adesso? Guarda adesso, tutto è in corsa, ma nessuno sa dove sta andando. La gente vive di cose superficiali. Dove contano e cuoricini e i like di un fottuto social, ma non l’idea. Dove l’ignoranza è diventata… comoda.

L’apparenza è la nuova verità. Tutto è una vetrina. Tutto è in vendita, e se serve, vendi anche l’anima al primo che passa.

Ma io, sono contento. Perché io so com’era. Cosa è stato. Io c’ero! C’era un mondo dove l’arte non era solo un accessorio. C’era un mondo dove la musica ti entrava sotto pelle e ti faceva sentire vivo, non una colonna sonora per dementi che non capiscono un cazzo di musica.

Io ho visto l’arte cambiare le persone. Ho visto la bellezza diventare carne, diventare atto. E non era tutto questo show da quattro soldi che vediamo oggi.

Non parlo di nostalgia, capisci? Non è malinconia. È solo memoria. E quella memoria, oggi, è un atto di grande resistenza.

Noi, che voi “unità carbonio” chiamate boomer, noi quelli che siamo nati negli anni ’60, siamo i custodi di un tempo che non tornerà più. Ma che dobbiamo raccontare, perché se non lo facciamo noi, chi lo farà?

Chi ricorderà che un tempo vivere significava qualcosa, che non bastava mettersi in mostra? Chi dirà che un tempo la gente poteva essere profonda, senza doversi giustificare per forza?

Ci siamo rimasti con questo peso leggero e enorme: il ricordo di quando il futuro aveva ancora un cazzo di senso.

Se le puttane di vicolo Ragusi esistessero ancora, avrebbero più dignità.

aprile 2025