Viviamo in una società che corre sempre, senza sosta. Ogni cosa sembra a portata di mano, ogni esperienza si offre come un possesso, eppure nulla ci appartiene davvero. Tutto scivola via, come la sabbia tra le dita, e ciò che crediamo reale si rivela solo un’illusione, un riflesso distorto.
La vita stessa sembra fuggire, non solo da noi, ma anche da se stessa. Non c’è un punto d’arrivo, non c’è una meta, solo un eterno presente che si consuma nell’attimo in cui lo viviamo. E in questo presente, non c’è spazio per i sogni, per le speranze, per ciò che un tempo chiamavamo “futuro”. Viviamo in un eterno simulacro, dove ogni gesto, ogni parola, ogni emozione è svuotata di significato, ridotta a un’ombra di ciò che avrebbe potuto essere.
Mi chiedo spesso, e ormai da molto tempo, se questa sia la vera natura dell’esistenza: un gioco senza regole, un teatro senza spettatori, dove recitiamo ruoli che nessuno ha scritto. Forse la vita è solo questo: un atto di resistenza contro l’assurdità di un mondo che non ci offre risposte, ma solo domande. Eppure, continuiamo a correre, come se il movimento potesse darci un senso, come se la velocità potesse nascondere il vuoto che ci circonda.
Sono orgoglioso di essere nato negli anni ’60.
La mia generazione, almeno, ha vissuto, ha cavalcato tutto ciò che siamo adesso. La mia generazione non ha trovato risposte, ma ha cercato, ha lottato, ha creduto che ci fosse qualcosa di più oltre l’orizzonte. Oggi, invece, sembriamo condannati a vivere in superficie, in un mondo fittizio che ci illude di essere reali, mentre tutto ciò che è autentico sfugge, inesorabilmente.
Forse, in fondo, non c’è nulla da fare se non accettare l’assurdità della condizione umana. Vivere, allora, non significa trovare un senso, ma continuare a camminare, anche sapendo che non c’è una meta. Perché è nella resistenza, nella consapevolezza del vuoto, che possiamo trovare una fragile, ma autentica, forma di libertà.
Orgoglioso della mia generazione. Oggi è solo il vuoto da vivere.
Gennaio 2025