Loris E la sua città

Loris E la sua città

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Loris si grattò la barba.

     Una barba bianca che sembrava aver assimilato tutto il marcio del mondo. La sigaretta sempre tra le dita bruciava lenta, cenere che cadeva sul pavimento come i pezzi della sua vita. 

     Per gli altri era solo una sigaretta. Per Loris era l’unica cosa che ancora lo teneva in piedi, una scusa per non crollare del tutto. Fuori, Palermo si stiracchiava nella sua solita decadenza, strade dissestate, immondizia, facce scavate dalla delusione. Una città che un tempo aveva osannato imperatori e ora si accontentava di sopravvivere alle spalle di se stessa. Sorniona e non curante del proprio futuro.

    Loris aveva creduto di poter brillare qui, di essere diverso. Invece si era ritrovato a inseguire ombre, a bere in posti dove l’alcool costava meno della dignità. La valigia rossa accanto al letto era l’unica cosa che ancora gli apparteneva sin dall’infanzia. Vecchia, deformata, piena di cicatrici come lui. Aveva viaggiato con lui quasi per tutta la vita, attraverso fallimenti e notti senza luna, raccogliendo sogni sbriciolati e promesse mai mantenute. 

    Sospirò. Un suono grezzo, come un pianoforte scordato in un vecchio pub alla periferia di Harlem. 

    Pensava al Nord, a quelle città fredde dove la gente camminava veloce, senza guardarsi indietro, senza guardarsi tra di loro. Strade pulite, facce vuote. Forse lì avrebbe potuto essere nessuno, finalmente. Un fantasma tra i fantasmi, senza il peso della sua storia sulle spalle. 

    Ma sapeva che i ricordi lo avrebbero seguito. Come i cani s’inseguono la mattina. Le voci del passato gli sussurravano nelle orecchie quando cercava di dormire, gli ridevano in faccia quando provava a dimenticare. 

    Si alzò. La sedia cigolò, protestando come tutte le cose che non volevano essere mosse. Prese la valigia rossa, sentendo il peso di tutto quello che conteneva e di tutto quello che aveva perso. 

    La porta si chiuse alle sue spalle con un tonfo sordo. Un altro capitolo finito, un altro inizio che sapeva già di fallimento. Ma almeno, per un po’, avrebbe camminato sotto un cielo diverso, respirato aria che non puzzava di mare stagnante e opportunità mancate. 

    Forse, in fondo, non importava dove andasse. Il passato lo avrebbe trovato comunque. Ma intanto poteva fingere, per un po’, di essere libero, di essere un altro.

    E a volte, nella vita, fingere è l’unica cosa che ti rimane da fare.

2023