La stanza oscura

La stanza oscura

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Loris si svegliò con il sapore della cenere in bocca e un buco nello stomaco che sembrava ingoiare tutto, anche la luce del mattino che si infilava tra le tende come un ladro.

    Accanto a lui c’era una donna. Non ricordava il suo nome, né come fosse finita lì. Forse era una di quelle sere in cui la vodka parlava al posto suo. Lei si girò, lentamente, e i suoi occhi lo fissarono inchiodandolo al materasso. Occhi neri, profondi come le bottiglie vuote che accumulava sotto il letto. 

“Sono la tua coscienza, Loris.” Disse la donna.

    La voce era bassa, rotta, come un vecchio vinile graffiato di Tom Waits suonato troppe volte. Loris cercò di ridere, ma gli uscì solo una specie di rantolo. La sua coscienza? Quella l’aveva seppellita da anni, sotto coperte di alcol, promesse e scommesse perse. 

    “Perché sei qui?” domandò, già sapendo la risposta. 

    “Perché hai smesso di ascoltarmi. Perché corri, ma non vai da nessuna parte.”

    La donna si avvicinò, il suo respiro caldo sulla sua pelle. Puzzava di verità, quella roba che bruciava più del whiskey a digiuno. Loris chiuse gli occhi, ma le immagini arrivarono lo stesso: il lavoro che aveva lasciato, la donna che aveva amato e poi tradito tante volte, le notti passate a contare i danni invece delle stelle. 

   “Non posso farcela,” disse, ma era una scusa, e lo sapeva. 

   “Cazzo, certo che puoi,” ribatté lei, sputando le parole come semi di girasole. “Ma devi smetterla di fingere che non ti importi. Devi smetterla di bere il dolore invece di guardarlo in faccia.”

    Loris si tirò su, i piedi nudi sul pavimento freddo. La stanza girava un po’, ma non per la sbornia. Per la prima volta in anni, sentiva qualcosa. Rabbia? Paura? O forse solo la voglia di non essere più un fantasma nella propria vita. 

    La donna lo guardò, senza pietà. “Il viaggio più difficile è quello dentro il tuo cesso di anima, Loris. Ma è l’unico che vale la pena fare.”

    Loris annuì, strofinandosi gli occhi. Quando li riaprì, lei era sparita. Ma le parole erano rimaste, incastrate tra le ossa come un coltello. 

    Prese il cappotto, uscì nella luce accecante del mattino. Non sapeva dove cazzo stesse andando, ma per la prima volta, almeno, ci andava sobrio.

2024 – 2025